Osservare le opere di Francis Bacon è facile finché pensi che si tratti solo di mostri e amore per il macabro, scavare più in profondità nelle sue creazioni tuttavia è un’altra storia: significa entrare in contatto con la morte in modo più intimo di quanto si possa pensare, significa sentire davvero le Urla della Chiesa e dell’umanità che brancola nel buio.
Di artisti all’altezza di Bacon è difficile trovarne, ma i suoi figli, i suoi degni successori dell’epoca contemporanea, sono sparsi ovunque per il cosmo, devoti a usare questo Maestro e a dare un seguito alla sua Nuova Figurazione Inglese, fra metamorfosi e cicatrici, sofferenza e trascendenza.
Per approfondire l’arte di Bacon e della sua Prole ecco dei link che potrebbero interessarti:
Con tutto quello che accade nello spazio ci si aspetta di vedere qualsiasi cosa fra le stelle e i meteoriti… Tranne una lattina caduta nell’occhio della Luna!
Che cosa ci fa una zuppa di pomodoro in un cratere inospitale? E’ ovvio: vuole essere la prima forma d’arte a conquistare il cuore di un grigio corpo extraterrestre – di certo è stato un po’ azzardato come primo contatto… Ma in fondo sappiamo che George Melies apprezza l’invadenza colorata!
“un piccolo passo per una lattina, un grande passo per la Pop Art!”
Dipingere questa T-shirt mi ha divertito tantissimo e con l’occasione ho potuto rispondere a delle curiosità che spesso mi chiedete riguardo al processo della pittura!
Ecco qui IL VIDEO IN CUI CREO LA MAGLIETTA:
Ciao a tutti e bentornati sul mio blog, io sono Ary e oggi continuiamo il nostro viaggio alla scoperta di artisti poco conosciuti, quelle perle luminose che talvolta vengono coperte dalla sabbia del web, e che secondo me meritano di essere riportate alla luce.
Il video di oggi è dedicato a un pittore patafisico, un surrealista polacco nato nel 1952 e influenzato nelle sue creazioni da pittori fiamminghi del calibro di Hieronymus Bosch, Van Eyck e Pieter Bruegel: sto parlando di Jacek Yerka.
Con le opere di Yerka ci ritroviamo all’improvviso esploratori dell’immaginario, turisti di orizzonti onirici, pieni di dettagli stravaganti e di mille ostacoli lungo il percorso; ostacoli che ci vengono posti però non come impedimenti, ma come strumenti per continuare il viaggio, come una forza centripeta che ci risucchia dentro alle forze fisiche della magia.
Con Yerka ci sporgiamo e cadiamo nella tana del Bianconiglio, vorticando dentro una storia senza inizio e senza fine, dentro una favola a rovescio che grazie ai suoi toni autunnali, fa fiorire il lato fiammingo di Yerka, e germoglia nel chiaroscuro di una realtà sottosopra.
Ed è proprio grazie a queste gradazioni cromatiche, che si carpisce l’essenzialità di questi racconti, che si sviluppano intorno a colori primitivi, quelli della natura nel suo stato più grezzo e puro, della terra, dell’alba e del sottobosco.
Se ci spingiamo ancora più in là in queste terre, vediamo poi le forme boschiane per eccellenza, grottesche e buffe allo stesso tempo, talvolta metà animale e metà macchina, talvolta parti stesse del mondo che abitano, come guardiani silenti, antichi quanto l’universo.
Questi guardiani non sono altro che macchine del tempo che si slanciano nei periodi di maggior sfarzo e di rivoluzioni prima industriali e poi quasi spaziali.
Vediamo l’epoca vittoriana tramutarsi in un’epoca steampunk per poi cambiare ancora ed essere colonizzata dai colossi di “Shadow of the Colossus”.
Nonostante l’apparente diversità fra gli ingranaggi e le foglie, fra il vapore e l’acqua dei fiumi, in realtà, così come negli immaginari di “Zelda – Breath of the Wild” e dei film di Miyazaki, anche qui la tecnologia e la natura diventano un tutt’uno, due forze che non si contrastano fra loro, ma che anzi emanano forte e chiara l’armonia fra di loro.
breath of fire 3 walkthrough New Zelda Breath of the Wild guide Everything you need to know about Images
Ogni elemento è in pace con tutto il resto, e così tutti questi mondi sono collegati gli uni con gli altri, e anche con mondi diversi, attraverso portali come quelli di Jeremy Miranda, che affiorano da sorgenti inaspettate.
L’antico vive nel moderno, e le creature di ogni immaginario esistente coabitano qui, nei quadri di Yerka.
Questo artista è l’architetto di un’enorme realtà patafisica che spazia fra personaggi e paesaggi in stile Studio Ghibli fino ad arrivare a colori ed estetiche che ricordano il Paese delle Meraviglie, tutto accompagnato da una costante trasformazione, da una ricerca senza sosta.
Ogni dettaglio ci richiama talmente tanti pensieri da lasciarci con la testa fra le nuvole, e anche in ogni inquadratura apparentemente quotidiana, Yerka inserisce l’elemento della sorpresa in una magia inaspettata, della serendipità nel meravigliarsi in un mondo distratto e frenetico.
Ogni quadro è la fotografia di un tempio che prende posto in una grande favola: ci può essere il tavolo da tè del Cappellaio Matto, oppure la Balena di Sabbia della serie “Children of the whales”, “Il Castello Errante di Howl” di Miyazaki, uno scenario nella mente del dottor Parnassus, o della foresta de “I Fratelli Grimm e l’Incantevole Strega”.
E’ qui che troviamo favole pittoresche, tradizionali e moderne, che si narrano dall’inizio dei tempi.
Eppure c’è qualcosa che non va, perché questi Templi sono vuoti, disabitati, alcuni perfino spenti da chissà quanto. Non c’è nessun visitatore fisico che presta occhio o orecchio in questi luoghi. Forse perché nessuno crede più nelle favole, forse perché la magia è difficile da trovare se la desideriamo disperatamente.
Questi Templi rappresentano tutte le favole che si sono perse, le cui speranze però continuano a divampare, e che vagano fra un mondo e un altro perché qualcuno nella propria cameretta da qualche parte, le sta ancora raccontando.
Se volete approfondire l’arte di Jacek Yerka QUI potete acquistare il libro “The Fantastic Art of Jacek Yerka” e QUI il libro “Mind Fields: The Art of Jacek Yerka, the Fiction of Harlan Ellison”.
Condividete l’articolo per far conoscere questo meraviglioso artista anche ai vostri amici e ricordatevi di commentare qui sotto cosa ne pensate di Yerka e aspetto i vostri suggerimenti su quali artisti poco conosciuti trattare prossimamente qui sul blog e sul canale!
Ci vediamo al prossimo artista!
“Ph‘nglui mglw‘nafh Cthulhu R’lyeh wgah‘nagl fhtagn”
Questa è la litania che risuona quando si entra nel nuovissimo ed esclusivo ristorante “Cthulhu’s Sushi”, votato 5 stelle marine da ogni creatura degli abissi dai tentacoli sopraffini!
Fatevi tentare dalle viscide pietanze del Menù scritto in rune antiche: ogni pezzo di sushi contiene una maledizione ripescata dagli abissi del tempo: scoprite quale vi toccherà!
Potrete gustare l’anima di Cthulhu fino a scoppiare di incubi, sentendo i tentacoli che cercano di torcervi l’ugola una volta ingoiati e odendo le ali scrocchiarvi nel palato mentre dei denti insanguinati cercheranno di mangiarvi da dentro: vedremo chi sarà mangiato per primo! Cthulhu Fhtagn e Buon Appetito!
Come “Il Latte di Edgar Allan Poe” questo Design vuole coniugare la creatività e la potenza del marchio in un soggetto unico e originale, unendo la passione e l’entusiasmo geek a un contenuto brillante ed esclusivo.
(qui per il DESIGN “Il Latte di Poe”⇒ http://selz.co/V11ANgv24)
Adorando l’horror d’atmosfera, la letteratura di Lovecraft è sempre stata per me una delle narrazioni più evocative di sempre, e in particolare il mito di Cthulhu mi è sempre parso come un mostro sublime tanto visivamente, con i tentacoli, la struttura da demone di una cultura remota e lo sguardo mefistofelico, quanto mentalmente, attraverso quella lingua sconosciuta che può insinuarsi nei tuoi incubi mentre dormi.
Per questo Cthulhu è diventato il protagonista di questo mio nuovo Design: mi divertiva l’idea di associare un soggetto antico e terrificante come Cthulhu al cibo più popolare di oggi, ovvero il sushi: un Design che crea ilarità tramite due opposti che si incontrano!
Oltre ad essere una concept art questo Design vuole rappresentare la personalità di chi l’acquista, nonché un incontro fra la modernità del marketing e la potenza dell’immaginazione stessa!
Il prezzo per il Design (che potete acquistare qui) è di soli 5 euro, e la qualità è garantita. Ogni vostro acquisto è importantissimo per aiutarmi a realizzare il mio desiderio più grande, ovvero farne una professione e quindi produrre sempre più contenuti digitali e manuali originali per voi qui sul mio blog e anche su Selz!
Con ogni contributo inoltre aiutate anche il mio percorso divulgativo e artistico su Youtube per il mio canale “Ary De Rizzo”!
Una volta acquistato il Design avrai accesso a questi 3 file (immagini in png che saranno privi di watermark):
anteprima con Watermark di “1_Logo Cthulhu’s Sushi.png”
anteprima con Watermark di “2_Cthulhu’s Sushi orizzontale.png”
anteprima con Watermark di “3_Cthulhu’s Sushi verticale.png”
Una volta scaricati i 3 Design potrete usarli come volete: potrete stamparli come poster per appenderli nella vostra camera, oppure su una maglietta da indossare, o su una tazza da regalare e altro ancora.
Per scaricare il DESIGN “Il Sushi di Cthulhu” ⇒ http://selz.co/VyIPVpZQr
Ecco qui il video sul processo creativo per questo DESIGN:
Per ogni domanda e per commissioni manuali o digitali non esitate a contattarmi qui: derizzo.arianna@gmail.com
Se vuoi sapere di più su di me e su cosa faccio, PUOI TROVARMI ANCHE QUI:
“Moloch che è penetrato presto nella mia anima! Moloch nel quale sono coscienza senza corpo! Moloch che mi ha terrorizzato via dalla mia estasi naturale! Moloch che io abbandono! Svegliati Moloch! Luce che urla dal cielo!”
“Ciao a tutti ragazzi e bentornati sul mio blog!
Dopo aver parlato dei muscoli e dell’individualità dell’arte di Egon Schiele, oggi parliamo di esoscheletri e di masse sociali mettendo a confronto ben due artisti poco conosciuti.
Sono due artisti molto differenti come personalità e insieme si intrecciano a rappresentare gli aspetti più contorti della condizione umana.
Uno di questi è il mio artista preferito fra i meno conosciuti, nato a Dalian in Cina nel 1965, un artista dall’estetica raffinata, ma controversa; l’altro invece è un artista polacco nato nel 1929 che non rientra particolarmente nelle mie corde, ma mi avete chiesto in così tanti di parlarne che non avrei mai potuto dire di no.
Ed ecco dunque il confronto fra Xue Jiye e Zdislaw Beksinski.
Dai formicai di uomini di Xue Jiye trapela il sudore della fatica e del lavoro degli uomini. Masse che man mano che sollevano, martellano e costruiscono diventano sempre più insignificanti rispetto alle proprie creazioni, perdendo l’occhio oltre il cielo, mentre le torri di Babele crescono e crescono.
Le facce degli uomini di Xue Jiye sono tutte uguali, tutte annebbiate dalla loro nuvola di taylorismo scellerato.
Muscoli dalla potenza insostenibile e menti che non sentono più niente se non un irrefrenabile istinto di porre fine a tutto nei momenti di pausa, momenti in cui i lembi di pelle implorano di essere strappati alla schiavitù, a questa vita da robot.
Poi, quando la costruzione lo richiede si torna al lavoro, e ci si ricompone per rientrare nella massa, per ritornare ingranaggio.
Si ammucchiano, sgomitano per starci tutti, ma se un uomo muore non importa, verrà presto sostituito, perché la loro catena di montaggio ha un fine più alto.
Costruire, sempre e comunque costruire.
Scavare e abbattere finché tutto non li schiaccia per diventare, poco a poco, parte stessa dei muri di terra rossa.
Passano gli anni, i secoli, i millenni.
Ci ritroviamo ora fra antri angusti e palazzi che si ergono su fondamenta fatte di ossa e sangue: ci ritroviamo catapultati da Beksinski in una leggenda dell’orrore, sperduta nella sabbia.
Ciò che lui ci mostra è il mondo di una mente senza speranza: la sua.
Una mente che è rimasta in coma dopo un serio incidente, che vomita nella pittura l’inferno che ha vissuto.
Colori di gelo, come la sua fredda campagna polacca, di vene e di luce aliena.
Ciò che ci mostra è la società di Xue Jiye arrivata al declino. Una società dove i palazzi sono fatti di quegli stessi uomini formica i quali, dopo tutti questi millenni, sostengono ancora le strutture che stavano costruendo, perfino dopo la morte.
I volti sparsi nel nulla sono mutilati, senza respiro.
Beksinski ci mostra la desolazione di ciò che non è più un uomo. Un uomo che si è annullato così tanto, che nel momento dell’apocalisse si ritrova a regredire a una forma ancora più ancestrale delle scimmie, una forma più simile a uno xenomorfo che a una figura terrestre.
Sono guardiani del nulla, reduci da un mondo fondato sulla massa, ben lontani dal ritrovare una qualche individualità.
L’horror vacui è un elemento dominante nelle sue immagini che rinfaccia a chi respira ancora la sublime colpa di questo impero di edifici.
La fame, la siccità, e la mente sprecata di quelli che erano uomini aleggiano come delle anime in pena alla ricerca di qualcuno che le salvi.
Beksinski ci mostra l’alba di un mondo senza luce, dettato dagli ultimi spiragli dell’elettricità, per entrare in una nuova era: l’era della fine della vita sulla Terra.
Nell’osservare i formicai ancora vivi di Xue Jiye, e poi le ragnatele di scheletri di Beksinski, ci domandiamo cosa abbia spinto tanto in là il mondo o meglio
“Quale sfinge di cemento e alluminio gli ha spaccato il cranio e ha mangiato i loro cervelli e la loro immaginazione?”
La risposta è nell'”Urlo” di Allen Ginsberg: “Moloch nel quale sediamo solitari, Il Moloch solitudine, sporco e bruttezza
Moloch il grande giudicatore di uomini!
Moloch il carcere incomprensibile! Moloch prigione senz’anima ossa in croce e Congresso di dolori!
Moloch i cui edifici sono sentenze! Moloch la vasta pietra della guerra! Moloch.”
Un luogo dove ci si nutre di sofferenza, Dove viene evocato il decadimento del corpo, la fragilità della carne e al contempo, nonostante tutto, la continua lotta a non rimanere schiacciati dalle proprie creazioni, la lotta alla sopravvivenza.
Ricordatevi di condividere questo articolo se vi è piaciuto e se volete sentirmi parlare di uno o più pittori in particolare scrivetemelo nei commenti.
“Si usano gli specchi per guardarsi il viso, e si usa l’arte per guardarsi l’anima.” (George Bernard Shaw) “L’arte ci consente di trovare noi stessi e di perdere noi stessi nello stesso momento.” (Thomas Merton) “L’arte deve confortare il disturbato e disturbare il comodo.” (Banksy)
“Ciao a tutti ragazzi e bentornati sul mio blog!
Oggi ho scelto di rivelarvi il mio artista preferito in assoluto: un espressionista austriaco nato nel 1890, pupillo di Klimt, dalla vita breve e malinconica riempita tutta con l’intensità e la passione per l’arte: Egon Schiele.
Il primo impatto che si ha con le figure muscoli e ossa di Egon Schiele è una sensazione di disagio, di sinistra inquietudine che ci mostra come il viaggio nell’anatomia dei suoi quadri potrà cambiarci e potrà cambiare l’esperienza che abbiamo di noi stessi.
Proprio per questo Schiele non è per tutti.
E’ l’incontro perfetto fra psicologia e pittura, lo scontro con dei traumi della propria personalità che magari non si vogliono accettare o che non si conoscevano nemmeno.
E’ un’esperienza inusuale questa perché lo stesso viaggio che fa lo spettatore, l’ha fatto e continuerà a farlo lo stesso Egon Schiele attraverso le sue pennellate.
Siamo di fronte alla fusione fra arte e persona, fra un lato della medaglia che dipinge l’altro e viceversa. Egon Schiele è un artista che si costruisce man mano che l’opera prende vita.
Ed è così che la tela prende il posto dello specchio.
Di fronte ad essa non possiamo che rabbrividire, incuriosirci, spaventarci, meravigliarci, di tutto ciò che non sapevamo di essere.
Dentro le opere di Schiele c’è lo spettro stesso della esistenza umana, della sessualità, promiscua o repressa che sia.
E’ l’esperienza di un corpo da percorrere in ogni senso.
Ma la cosa che più sorprende dei soggetti di Schiele è il modo in cui li dipinge.
Dall’anatomia bislacca e bizzarra, che sembra sottintendere una lotta interiore che si riflette sul corpo. Un’anatomia apparentemente impossibile, tutta contorta, in posizioni scomode e circondate da un aura di deperimento meccanico.
L’aggressiva spigolosità dei movimenti si contrappone ai costanti vuoti che Egon lascia lì, abbandonati a loro stessi, come le costanti mancanze che avvertiamo nel nostro profondo.
Mancanze che Schiele rende finalmente visibili, proprio come la pelle dalle molteplici impronte.
Essa è sporcata dai tocchi, dalle ferite, e dalle avventure che si accumulano giorno dopo giorno nelle nostre vite.
Impronte invisibili nella realtà degli altri, ma vivissime dentro di noi.
Impronte che per Egon rappresentavano una vita composta di traumi e tristezza, ma che riflettevano anche l’anima della Secessione Viennese, una possibilità per gli artisti, di un’arte che rappresentasse l’epoca, travolta dal tumulto dei cambiamenti.
Ed è proprio grazie a queste impronte che i personaggi di Schiele sono così attaccati alla vita, sempre sull’orlo di una nevrosi, sempre alla ricerca di un nuovo baratro al quale sfuggire, a una nuova mente affollata da svuotare.
I quadri di Schiele sono lo sguardo oltre l’apparenza di tutti i giorni.
I soggetti di Schiele non hanno occhi, ma sono Occhi. Sono sguardi nostalgici e melanconici che si lanciano oltre la finestra della propria percezione, nel vuoto della massa.
in una società tutta ammucchiata, basata sul confronto e sulle relazioni, Schiele mostra l’altro, colui che si esclude, per mettersi alla sola ricerca di se stesso.
E’ un’isolazione che mette a disagio chi la guarda sebbene colui che la abita si senta a casa.
Gli occhi sono calmi mentre il corpo scalpita e si contorce, mostrando il potenziale di ogni muscolo, lembo di carne, per ricordarci che vive ancora, che nonostante tutto sente ancora il battito del proprio cuore, e questo è un pensiero incoraggiante.
Ricordatevi di condividere questo articolo se vi è piaciuto, di iscrivervi se non l’avete ancora fatto e se nei prossimi video volete sentirmi parlare di qualche particolare artista scrivetemelo qui sotto in un commento!
“Quant’è bella giovinezza, che si fugge tuttavia. Chi vuol esser lieto sia, di doman non v’è certezza.” (Lorenzo de’ Medici) “Ragazze di Creta a tempo, danzavano lievi sui piedi attorno all’ara adorna calpestando dolcemente la morbida erba fiorita.” (dalle “Poesie” di Saffo)
“Ciao a tutti ragazzi e bentornati sul mio blog!
Io sono Ary e dopo aver parlato di qualche artista poco conosciuto, oggi vi parlerò di un artista avvolto dalla cosiddetta “Sindrome dell’Età d’Oro”.
Oggi si parla di bellezza: una bellezza travolgente e calda come l’estate, che porta il nome di un pittore olandese nato nel 1836, e che con la sua arte avrebbe in futuro influenzato la meravigliosa corrente artistica dei Preraffaelliti.
Sto parlando di Lawrence Alma Tadema.
Lo avvertite questo caldo?
E’ un tepore che cuoce il marmo, che si arrampica sulla pianta di piedi di musa, che rimbalza sul mare calmo, come un ciottolo piatto.
La sentite sui polpastrelli la seta pregiata sollevata dal vento?
Ne respirate il profumo di spezie e fiori tutt’intorno?
An eloquent silence *oil on panel *42 x 33 cm *1890 *signed l.l.: OP.?CCCI?- / L.? Alma Tadema
Se aguzzate abbastanza lo sguardo vedrete l’estate che si disperde sull’orizzonte, mentre sentimenti “didonici”, la nostalgia di vecchie canzoni, e miti narrati dai cantastorie si fanno spazio nella vostra memoria.
Queste opere parlano, cantano come sirene, incantano lo spettatore che non è più spettatore, ma uno spirito pompeiano che ritorna a passeggiare per le vie greche.
Basta sporgersi un po’ oltre le mura per poter sentire i popoli suonare e ballare in virtù dell’abbondanza, a venerare il sole, il mare e la vita.
Con queste immagini di luce e colore ci si immerge nella natura attraverso l’essere umano, attraverso gli occhi di una civiltà mai dimenticata.
Spensieratezza, teatralità, sentimento, indolenza.
Le donne di Alma Tadema sono così: muse con il volto di ninfa e la bocca di un fiore che sboccia ad ogni emozione forte. Ti fanno innamorare e ti commuovono al contempo, perché nel profondo sai che il loro amore, il loro languore, le porterà alla rovina.
Lawrence Alma Tadema coglie l’attimo, l’attimo in cui possiamo distinguere la malinconia farsi spazio negli occhi di chi sta soffocando.
E’ una celebrazione dell’estate della vita, ingenua e fragile come i letali petali di rosa di Eliogabalo.
E’ un trionfo dei Cerealia che elogiano la mitologia fieri delle stagioni e del passato in cui questi popoli vivono e vivranno, eterei e umani allo stesso tempo.
E’ un sogno d’amore delicato come la pelle di porcellana delle fanciulle alle terme di Caracalla: il sogno di una notte di mezza estate.
Se volete approfondire ulteriormente l’Arte di Lawrence Alma Tadema, vi consiglio di leggervi le poesie di Saffo e i sonetti di Shakespeare e di acquistare il libro “Alma-Tadema e i pittori dell’800 inglese” che viaggia fra i soggetti dell’artista fino ad arrivare ai Preraffaelliti più famosi come Burne-Jones e John William Waterhouse.
Ricordatevi di condividere l’articolo se vi è piaciuto e se volete sentirmi parlare di un particolare artista scrivetemelo in un commento.
“Le generazioni future leggeranno degli animali del bosco come dei popoli della Bibbia.” (Arto Seppälä) “La Natura: rossa di zanne e d’artigli.” (Alfred Tennison) “Mi lascio in eredità alla terra, per rinascere nell’erba che amo, se ancora mi vuoi, cercami sotto la suola delle tue scarpe” (Walt Whitman)
“Ciao a tutti e bentornati sul mio blog!
Io sono Ary, e in questa mia prima rubrica voglio esplorare con voi degli artisti poco conosciuti che trovo davvero fantastici!
L’artista di cui vi voglio parlare oggi è una portavoce della natura, una evocatrice di totem ancestrali, una dissezionatrice delle viscere della terra e della morte stessa: sto parlando di Lauren Marx.
Nei suoi quadri, Lauren Marx restituisce gli animali alla brutalità del mondo dopo averli strappati alle pagine delle favole.
Picture 136
Picture 095
Sono creature stanche da millenni: stanche di portarsi sulle spalle una morale da dover conferire, stanche dell’uomo e di dover parlare con lui: si sono scrollate di dosso la magia, spogliate di quella falsa pelliccia che le imprigionava nella sottomissione: sono affamate, sono bestie.
Bestie ormai non più vive, ma nemmeno morte, che crescono e si plasmano da secoli in ossa, corna, peli, piume e viscere.
Sono creature ancestrali, antiche come il tempo stesso, forgiate dalla fame e dall’odore del sangue.
Sono le creature degli stemmi del Trono di Spade, unite dalla ferocia e dall’istinto di sopravvivenza. Non c’è paura che il lupo non sappia fiutare, non c’è carne che il leone non voglia sbranare.
Nei quadri di Lauren Marx tutti sono preda della natura: la brutalità della lotta si fonde con la fragilità e la caducità della vita, anche quella del più forte e selvaggio animale.
Nel cerchio della vita il sacro si unisce al profano, e così ogni osso, occhio, muscolo, artiglio appassisce, marcisce, si decompone e infine rinasce sotto forma di yin e yang, di nuovi simbolismi fatti di carne.
Con una pennellata, Lauren Marx ci trascina in un viaggio pagano all’interno delle viscere di bestie sacrificali che danzano contorte verso la morte.
I colori scuri, cupi e rupestri come quelli degli antri di una caverna o delle foglie umide trasportate dai ruscelli del bosco risvegliano l’unione di mito e realtà.
Fra le figure viscerali e esanimi delle bestie, il cielo si riflette ancora nei loro occhi e la terra continua a girare.
La vita continuerà, trasportando la loro anima altrove, dove potranno vivere e cacciare ancora.”
Se volete approfondire L’arte di Lauren Marx potete seguire il suo blog laurenmarx.com e acquistare delle sue stampe su society6.
Ricordatevi di condividere l’articolo o il video se vi è piaciuto e se volete sentirmi parlare di un particolare artista scrivetemelo in un commento!
“Ogni grande opera d’arte ha due facce, una per il proprio tempo e una per il futuro, per l’eternità.” (Daniel Barenboim) “I capolavori non sono fatti per sbalordire, sono fatti per persuadere, per convincere, per entrare in noi attraverso i pori.” (Jean-Dominique Ingres) “Non v’è più bellezza se non nella lotta. Nessuna opera che non abbia un carattere aggressivo può essere un capolavoro.” (Dal Manifesto del Futurismo di Marinetti)
“Arte e Politica; a immaginarle sembrano l’una l’opposto dell’altra.
L’arte è l’espressione della ribellione, di una libertà oltre il mondo materiale, è caos, è creatività pura e semplice.
La politica invece è ordine, strategia e autorità per guidare le masse.
Due concetti che nella storia si sono forgiati sull’idiosincrasia l’uno per l’altro per esempio con il Dadaismo che ha rifiutato la ragione e che ha stravolto le convenzioni dell’epoca in favore dello scherno, dell’assurdo e della stravaganza oppure con l’Espressionismo che innalza ed esaspera l’emozione e inneggia la ribellione dello spirito contro una realtà di violenza e materia.
Ma sappiamo bene che l’arte non è stata solo questo, proprio perché in costante mutamento, come la politica.
L’arte nel corso della storia s’è sciolta, allungata, s’è fatta geometria, puntino e ad un certo punto s’è fatta faccia della stessa medaglia della politica.
E’ successo infatti, all’inizio del ventesimo secolo qui in Italia, che la sperimentazione avesse trovato il clima ideale per piantare radici ed espandersi sempre di più e sempre in più forme. Cominciò a prospettarsi un clima ideologico e politico fondato sul culto dell’azione, culminante in seguito, come ben sappiamo, con i Fasci di Combattimento di Benito Mussolini, e infine con la Seconda Guerra Mondiale.
Dalla pittura alla scultura, dal teatro all’architettura, ogni forma d’arte subì un’evoluzione esagerata. Si riempì di euforia per il potenziale che rappresentava e stimolata dal futuro che bussava alla porta, prese il passo con l’innovazione attraverso artisti come Balla, Carrà, Boccioni e Marinetti, che videro nel tumulto dell’aggressività e nello sconquassamento delle masse il volto del futuro. Nacque così il Futurismo, e con esso la consapevolezza che un enorme ponte ora si ergeva a unire l’arte e la politica: e questo ponte si chiamava Propaganda.
Con il Manifesto Futurista si capì infatti che per muovere le masse non bastava più arrivare alla razionalità della gente, ma bisognava scatenare in loro un’emozione.
Servivano immagini che facessero battere forte il cuore, forte come quando si corre, come quando si va di fretta e si è colmi di adrenalina per saltare sul treno diretto ad un Nuovo Mondo. Un mondo pieno di macchine, di innovazione, d’industria dalla potenza smisurata.
Un mondo dove ci sono solo Città che accecano con la propria luce chiunque non sia abbastanza intrepido e coraggioso per il progresso.
Sono immagini e figure dure quelle dei Futuristi, spigolose, rigide come formazioni da combattimento, colori aggressivi che coinvolgono lo spettatore a vedere il bagliore del futuro e lo entusiasmano di esserne parte.
Le linee di forza dei quadri, proprio come farà il famoso dito ammonitore del manifesto “Uncle Sam” di James Montgomery Flagg, ti catturano lo sguardo, ti muovono, ipnotizzano e ti fanno capire che sei tu in primo luogo a dover agire, a dover dire a tutti la potenza che il Futurismo rappresenta.
Ogni quadro, ogni immagine, veicola un semplice messaggio: che lo spettatore ha il mondo in mano, che ha l’orizzonte spalancato dinnanzi ai suoi occhi, che è libero di scegliere di essere un uomo superiore a tutti gli altri, un uomo dai sensi divini, che vede le cose oltre alle cose, come l’onda d’aria di un treno che arriva.
E’ un uomo al passo con la velocità delle macchine che si nutre di questa convinzione fino a diventare, nella sua testa, una macchina vera e propria, un uomo perfetto.
FORTUNATO DEPERO “TORNIO E TELAIO” *** Local Caption *** 00062966
E grazie a queste immagini, a quel clima di euforia e di sopraffazione, l’emozione divenne la nuova persuasione.
Un’adulazione dei caratteri forti, pronti a cambiare il mondo e ad incarnare un nuovo Prometeo, a sfidare i propri limiti fino a sconfiggere Dio.”
Se volete approfondire ulteriormente il tema dei Futuristi, vi lascio dei link per acquistare dei libri/raccolta su questo movimento artistico:
Vi invito a guardare tutti gli altri video che hanno trattato la politica, l’economia e il potere per il progetto “I Saperi Forti”, e ricordatevi di condividere l’articolo o il video se vi è piaciuto!
L’uomo ama costruire, e tracciare strade, è pacifico. Ma da che viene che ami appassionatamente anche la distruzione e il caos? (Fëdor Dostoevskij) Quando soffia il vento del cambiamento alcuni costruiscono muri, altri mulini a vento. (Antico proverbio cinese)
“Ciao a tutti e bentornati sul mio blog!
Io sono Ary e in questa mia prima rubrica voglio approfondire con voi degli artisti di nicchia spettacolari; artisti di nicchia di tutti i tipi: da pittori a scultori, da fotografi ad artigiani!
L’artista di cui voglio parlare oggi è molto particolare: è un inventore, un archeologo, uno scovatore o meglio SCAVATORE di tesori nato in Illinois nel 1974: Brian Dettmer!
Con Brian Dettmer il quotidiano cambia significato, la banalità volta pagina e si trasforma in innovazione, in un’arte inaspettata.
Tutto scorre, tutto si piega, aggroviglia, assottiglia, tutto si trasforma in un Paese delle Meraviglie fatto di carta, taglierino e sorpresa: sorpresa per noi e anche per Brian Dettmer, un artista che presta le sue mani alle storie ignaro di cosa queste lo porteranno a creare.
Scavando le pagine di antichi libri o perfino di cassette, enciclopedie, mappe, come un vero e proprio archeologo, Brian Dettmer fa riemergere reperti e gemme andati perduti o magari mai scoperti prima: è un Cristoforo Colombo della materia che tramite significati nascosti e reinterpretazioni rizomiche fa respirare a degli oggetti morti l’aria di un secolo nuovo, un secolo in cui si può rendere immortali solo attraverso la distruzione.
Una volta gli scultori prendevano il marmo, lo modellavano e da ciò che era semplicemente pietra estrapolavano un Dio, un Imperatore.
Brian Dettmer al contrario prende i libri e sfata il mito della loro intoccabilità e della sacralità che li costringerebbe a restare una cosa sola per l’eternità.
Ma in fondo il mondo può solo cambiare nel momento in cui i pezzi vengono rigiocati: il mondo è cambiato quando la testa di Maria Antonietta è stata staccata dal corpo, e questo l’ha resa immortale. Brian Dettmer cambia la nostra percezione sugli oggetti, li incastra e li trasforma in paesaggi rendendoli più umani degli umani stessi.
Ogni anfratto, ogni cunicolo da cui si sporge un volto o un aforisma, mostra quanto la distruzione sia un’arte effimera e delicata, così come lo sarà la costruzione che la sostituirà in seguito, a creare dunque un circolo vizioso in cui il tempo, la vecchiaia e il divenire antico perdono la loro autorità sulla vita e sulla caducità delle narrazioni.
Tutto ciò che importa con Brian Dettmer è comporre nuove e infinite storie con cui riempire l’universo nei secoli dei secoli.
Se volete approfondire questo artista fantastico vi consiglio di acquistare il libro sulle sue opere “Art Made from books” e di guardarvi il suo TED talk, in cui espone la procedura dei suoi lavori e le sue considerazioni.”
Ricordatevi di condividere l’articolo o il video se vi è piaciuto e se volete sentirmi parlare di un particolare artista scrivetemelo in un commento!